Gli echi della periferia

2014

AREA AFFARI ISTITUZIONALI E QUARTIERI U.I. SEMPLIFICAZIONE AMMINISTRATIVA E PROMOZIONE DELLA CITTADINANZA ATTIVA ALLEGATO B ALLA DETERMINAZIONE DIRIGENZIALE PG N. 197629/2012 DICHIARAZIONE D’INTERESSE ALLA CO-PROGETTAZIONE ED ALLA REALIZZAZIONE DI INTERVENTI SUSSIDIARI ALL’ATTIVITA’ DELL’AMMINISTRAZIONE

DICHIARA

IL PROPRIO INTERESSE A REALIZZARE IL PROGETTO / L’INIZIATIVA DENOMINATO/A

GLI ECHI DELLA PERIFERIA

Analisi di scenario ed elementi di sfondo

Dal mondialismo alla trans-cultura

Intervenire sulle fragilità urbane delle città, si può fare con poco, contrapponendo il concetto di mondialismo a quello di tribalismo, poiché quest’ultimo, nelle sue svariate forme, e in tante parti del mondo, mette in discussione il concetto di cittadinanza.

Sentirsi cittadino significa innanzitutto riacquistare i propri diritti naturali, e quelle garanzie che tutti gli esseri liberi dovrebbero avere nel mondo contemporaneo, ma che purtroppo in tanti non hanno. Le favelas, gli slums, i quartieri disagiati, sono i risvolti della medaglia della società del benessere e dell’opulenza.

Il contesto bolognese offre diversi spunti, laddove i concetti di mondialismo e cittadinanza diventano nodi problematici:

  • centoquaranta e passa nazionalità diverse, nel giro di un decennio;
  • seconde generazioni di immigrati, senza cittadinanza italiana;
  • una trasformazione della morfologia sociale poco accompagnata da misure appropriate nella gestione del territorio;
  • nuovi bisogni che emergono spontaneisticamente, non intercettati;
  • ricomposizione delle classi sociali prodotte dalle nuove povertà;
  • forbice tra ricchezza e povertà sempre più ampia tale da inibire la classe media, di cui alcuni pezzi vivono il medesimo impoverimento dei cittadini migranti;
  • nuovi conflitti sociali latenti.

Il concetto di transcultura, dunque, rimanda a qualcosa che attraversa la cultura, trasformandosi in promozione e salvaguardia delle singole specificità, mirando però all’individuazione degli elementi universali, comuni a tutti gli esseri umani, quegli elementi che sono presenti in tutte le realtà del mondo, dove sono passati altri popoli. Mediante la lente d’ingrandimento trans-culturale è possibile leggere cosa ci portiamo dentro di altre culture e in che modo le abbiamo fatte nostre…

Ecco perché le singole culture nazionali, che si ritrovano su un medesimo territorio, possono partecipare insieme allo sviluppo socio-economico del luogo di accoglienza, facendo salve le proprie specificità culturali, per metterle a disposizione della comunità tutta, in una sequenza di interazioni e contaminazioni.

Da un intervista sul quotidiano L’Unità del 31 marzo 2014 al Preside della scuola media Saffi al Pilastro di Bologna, possono essere individuate le dinamiche legate al concetto di mundialismo e cittadinanza di cui sopra. Riportiamo alcuni stralci…

Un ponte divide due luoghi geografici, Bologna e il Pilastro. Lì, ai confini della città c’è una scuola media, la Saffi, dove gli insegnanti e il dirigente lavorano eroicamente, è il caso di dirlo, inventandosi ogni giorno strategie, di lunga e breve durata, per accompagnare i ragazzi verso degli obiettivi, per offrire loro la possibilità di un futuro, così come mai nessuno ha fatto e nessuno forse farà. Tra quei ragazzi due terzi sono stranieri, per lo più di seconda generazione, un terzo sono casi sociali. Al Pilastro vive la più grande comunità rom della città, lì è concentrata la maggior parte dell’edilizia sociale. «Si passa il ponte e lo scenario cambia». Se non si vuole usare l’aggettivo degradato, si può tranquillamente dire che il Pilastro per molti è un quartiere dormitorio

Non sono alieni, gli studenti della Saffi, questo è importante precisarlo: «Sono ragazzi buoni, ma completamente disabituati ad essere presi in considerazione, sono spesso abbandonati a loro stessi e la scuola per loro è l’unica possibilità», spiga Pagani. E l’alfabetizzazione degli stranieri – spauracchio delle famiglie di classi più agiate – è il minore dei problemi ormai. «Certo, sarebbe necessario un insegnante in più per aiutare i nuovi ingressi, ma sono i casi socialmente e psicologicamente più difficili quelli che possono ostacolare il normale svolgersi delle attività didattiche».

In sostanza: «Se al Pilastro si decidesse di creare un indirizzo musicale, per fare un esempio come un altro, e si decidesse di investire, il messaggio che arriverebbe alle famiglie sarebbe quello di una scuola in cui i ragazzi potrebbero avere un’opportunità in più invece che una in meno…», spiega il dirigente. Adesso, grazie alle idee della scuola, nascerà la squadra di calcio e anche quella di basket in collaborazione con la Fortitudo. E poi si lavora sulla continuità: i ragazzi usciti dalle Saffi che sono andati alle superiori vanno a raccontare la loro esperienza, offrendo uno stimolo ai più piccoli.

Questo breve resoconto sul Pilastro di Bologna spiega nella pratica come la dimensione della mediazione culturale, come fino ad oggi l’abbiamo conosciuta, non risponde più alle domande che fuoriescono dai quartieri “mondializzati”, poiché la mediazione non può più essere ricondotta al rapporto tra il singolo ed il corpo sociale, ma tra il territorio di riferimento ed il corpo sociale. E’ per questo che il concetto di mediazione deve essere intercalato al concetto di territorio.

Per una pedagogia dell’autonomia

La possibilità di costruire dei percorsi di apprendimento per giovani e minori, finalizzati alla sostenibilità del territorio di appartenenza, per l’esperienza dell’associazione proponente di questo progetto, non può che partire dalla dimensione sociale delle favelas brasiliane. Per lo sviluppo di questi percorsi si fa riferimento non agli approcci formativi utilizzati nel contesto europeo ma alla filosofia dell’educazione proveniente dalla scuola critica sudamericana, quella “Pedagogia dell’autonomia” di cui Paulo Freire fu il maggiore esponente.

Pedagogia che partiva dal presupposto che la tradizione del sistema educativo europeo se esportata in territori di origine coloniale avrebbero prodotto la medesima logica di “oppressione” anche dal punto di vista culturale.

Attraverso questo approccio viene ricodificato il rapporto docente/discente, che non può costruirsi su una gerarchia di ruoli, chi insegna e chi apprende, ma si fonda su una sorta di circolarità dell’apprendimento, dove anche il docente è in grado di apprendere dal rapporto col discente. In questa dimensione si colloca la contemporaneità delle problematiche legate ai territori disagiati, individuando un corpus disciplinare che si fonda sul rapporto empatico tra i soggetti e che abbia ricadute sul territorio, portando a sviluppare le cosiddette competenze non formalizzate…

Le esperienze maturate da Orchestra Do Mundo nelle favelas brasiliane si sono caratterizzate prevalentemente attraverso l’attivazione di corsi per i minori, tra musica, danza e multimedialità, finalizzati a formare “Operatori dello sviluppo”. Sull’implementazione delle competenze non formalizzate si gioca tutta la logica degli interventi nelle favelas. Sono giovani in grado di fare mediazione territoriale, con i gruppi dei pari, attraverso le arti performative e la multimedialità. Ma c’è anche un altro aspetto fondamentale nel processo di apprendimento dell’autonomia, e cioè quello relativo alla possibilità da parte dei ragazzi in formazione di fare da “moltiplicatori” di conoscenza, poiché le cose apprese sono essi stessi a trasferirle a gruppi di coetanei.

Queste sono le motivazioni che spingono ad adattare le prassi della pedagogia dell’autonomia proprio al Pilastro di Bologna.

La dimensione territoriale della comunicazione

Al di là dei referti sociologici che descrivono la società come liquida piuttosto che evanescente, i processi di comunicazione nel nostro tempo si sono ammalati e i loro germi generano effetti riconducibili a due grandi categorie: l’apnea corporea per i processi relazionali e l’apnea cognitiva per i processi mediatici. Così come nella programmazione del territorio, la mancata risposta ai bisogni genera l’apnea sociale.

Il sistema delle comunicazioni di massa, ed il racconto del mondo che oggi ne fuoriesce, è molte volte difficile da leggere a causa di alcune variabili legate da un lato allo sviluppo tecnologico, che ha moltiplicato in termini esponenziali le fonti di informazione, per cui il surplus informativo produce paradossalmente entropia e quindi disinformazione.

A ciò si aggiungano le ingerenze, nel mondo dell’informazione, da parte del sistema politico, che ha ridefinito la mission stessa del giornalismo. C’è poi il tema della trasformazione dei criteri di notiziabilità, che tenta di snaturare il concetto stesso di notizia, poiché se la sua missione originaria è quella di identificare la notizia come un fatto di natura pubblica, oggi ci troviamo dentro un modello sociale che s’interessa molto dei fatti privati e poco della dimensioni private delle persone come modello esplicativo delle società. Diventa più facile oggi raccontare storie che succedono dentro le mura domestiche che pezzi di vita che spiegano della realtà.

Di contro però, negli ultimi anni, è nata una nuova spinta propulsiva dal basso, grazie allo sviluppo inarrestabile del web, che è stata chiamata “Citizen journalism”, cioè giornalismo dei cittadini o di cittadinanza, attraverso cui chiunque possieda un cellulare o una piccola macchina da presa, fotografa, filma, registra, monta eventi e fatti a cui spesso i media di massa non arrivano, creando un nuovo paradosso, cioè quello attraverso cui gli improvvisati cittadini/giornalisti diventano fonte dei media di massa, restituendo la dimensione pubblica alla notizia.

L’esperienza di citizen journalism che vogliamo mutuare come tra le più rappresentative in questo momento nel mondo è quella dei Media Ninja brasiliani. Di seguito riportiamo stralci di un articolo di “El Pais” del 7 luglio 2014, dopo le manifestazioni di protesta in Brasile dell’estate 2013…

Durante una delle manifestazioni di San Paolo, avvenuta nello scorso mese di giugno, il corrispondente della Globo a New York, Jorge Pontual, scrive su twitter: “se la batteria del Ninja non muore, io questa notte non dormo”. Il veterano giornalista del canale più contestato durante le manifestazioni in Brasile si stava riferendo a uno dei membri del gruppo Ninja che per ore ed ore ha trasmesso quello che accadeva durante la manifestazione dal suo cellulare.

I Ninja (Narrativa Indipendente, Giornalismo e Azione) sono un collettivo formato da un centinaio di persone, con diversi gradi di coinvolgimento, che trasmette in diretta, senza tagli e senza una ri-edizione, le manifestazioni che da più di un mese infiammano tutto il Paese. Non sono i primi a mescolare attivismo e giornalismo, aggiungendovi qualche dose di denunce e proteste dei cittadini. Il Brasile ha una rete molto attiva di gruppi di media alternativi come RioNaRùa, JornalismoB, Moqueca Midia o radiotube, ma in questi mesi i Ninja hanno raggiunto un protagonismo impensabile per un gruppo così sperimentale. Ad oggi contano più di 139 mila fan su Facebook e più di 13 mila followers su Twitter e alcune loro trasmissioni sono state seguite da più di 100 mila persone.

Abbiamo iniziato ad essere così conosciuti perché facciamo parte di una rete, perché siamo organizzati, però siamo solo uno strumento in più all’interno di questo contesto di giornalismo fatto dai cittadini che è nato durante le proteste”, spiega Bruno Torturra, ex direttore della rivista Trip e membro del collettivo.

Le trasformazioni della società legate all’emersione dei nuovi media, della rete e quindi della globalizzazione, nel suo complesso, hanno insomma deteriorato le tradizioni informative legate ai valori notizia, facendo emergere, appunto, nuove dinamiche sociali e dunque nuovi bisogni informativi, non corrisposti dal sistema istituzionale dell’informazione.

Descrizione del progetto/iniziativa

Lo scenario

In questo momento storico, le problematiche delle città europee, in relazione ai processi d’integrazione etnica, sono soffocate tra le strategie dell’UE sull’accoglienza e la coesione sociale, e le politiche nazionali basate sulla “percezione della paura”, dove rigurgiti antistorici di tipo nazionalista o xenofobo diventano note stonate. C’è da dire che l’impoverimento diffuso delle condizioni di vita ed il generale senso di precarietà dei cittadini europei, ha ulteriormente aumentato le fratture nei confronti di chi proviene da “altri mondi”.

Se le criticità di molti contesti urbani europei, in relazione ai processi d’integrazione etnica, si concentrano sull’isolamento, questo produce la mancata formulazione di una nuova identità collettiva, generando fenomeni di emarginazione ed insicurezza sociale.

La mission

La mission del progetto è quella di formare “operatori territoriali”, adattando i principi delle attività di pedagogia dell’autonomia, attraverso l’elaborazione di prassi legate alla comunicazione intesa nella sua più ampia accezione e alle performance di Danza hip hop e free style.

L’intento cioè è quello di mettere insieme corpus disciplinari, non formalizzati, che convergano verso la direzione dello sviluppo sociale sostenibile, culturale ed economico del territorio urbano dove l’integrazione tra comunità nazionali diverse diventa il punto di snodo dei processi di trasformazione della morfologia sociale.

Ecco perché è essenziale introdurre elementi di innovazione, pensando ad uno sviluppo territoriale o locale di tipo trans-culturale, dove le singole culture nazionali, che si ritrovino insieme su un medesimo territorio, possano partecipare insieme allo sviluppo socio-economico del luogo di accoglienza, facendo salve le proprie specificità culturali, per metterle a disposizione della comunità tutta, in una sequenza di interazioni e contaminazioni.

L’intento del progetto è quello di trasmettere know how esperienziale a giovani maggiorenni, attraverso fasi di apprendimento attivo e di lavoro sul campo che, da un lato, costituisca un piccolo bagaglio professionale, e se implementato può essere spendibile nel futuro sul mercato del lavoro, attraverso la trasmissione di competenze non formalizzate. A ciò si aggiunga l’idea di coinvolgere attraverso le scuole i minori per diffondere la cultura hip hop attraverso le arti grafiche e la danza free style. La formulazione della proposta progettuale, come dalle esperienze dell’ente proponente nelle favelas brasiliane, individua nella capacità di maneggiare gli strumenti di comunicazione, come nella capacità di possedere le tecniche del racconto da parte dei giovani maggiorenni, il know how per poter operare sul territorio in termini di mediazione.

Ma c’è un ultimo intento quello legato alla costruzione di percorsi sulla cittadinanza attiva, partendo dalle social street, dove gli operatori territoriali possano diventare poli di attrazione per i quartieri di riferimento, intercettando un bisogno sociale emergente, cioè quello di sostituire la dimensione della mediazione culturale con la “mediazione territoriale”, più legata alle domande del nostro tempo, poiché nelle strade e nei quartieri germogliano le maggiori fragilità, come anche il bisogno di ritrovare quel senso di comunità perduta. 

Obiettivi/finalità

Il fine a cui si vuole giungere è quello di innescare dei piccoli cambiamenti all’interno della comunità territoriale di riferimento, che assumono efficacia proprio perché introducono elementi nuovi nel rapporto tra vissuto personale e dimensione sociale legata alla migrazione. In tal modo è possibile intervenire sulla dimensione individuale innescando semplici meccanismi di consapevolezza del realtà attraverso l’acquisizione delle metodologie del racconto.

Gli obiettivi generali:

  • mettere in rete e far dialogare organizzazioni, progetti, operatori, storie tra Bologna e il mondo, attraverso il protagonismo di nuove generazioni di italiani e migranti insieme, che rappresentano la congiunzione tra i mondi. Il medium che fa da “sistema nervoso” del progetto è incentrato sulla logica del web;
  • creare le condizioni per far sviluppare un senso di cittadinanza condivisa sul territorio.

Obiettivi specifici:

  • creare una nuova figura professionale, con un bagaglio di conoscenze integrate nell’ambito della comunicazione giornalistica e multimendiale, attraverso le competenze non formalizzate, che risponda ai nuovi bisogni del territorio;
  • sviluppare le abilità giovanili nell’ambito della danza Freestyle;
  • costruire percorsi formativi che abbiano la capacita di fare rete sociale;
  • elaborare delle indagini conoscitive sul territorio bolognese.

Risultati attesi

  • Acquisizione di conoscenze tecniche da parte dei giovani in formazione.
  • Analisi sociale sul Pilastro condotta dai giovani in formazione.
  • Messa in rete delle strutture organizzate legate alle comunità nazionali.
  • Collegamento tra progetti, soggetti e realtà delle comunità migranti.
  • Promozione delle social street al quartiere San Donato.

Contesto territoriale interessato

Quartiere S. Donato

Durata del progetto e singole attività/fasi

Durata

Tutte le attività possono essere svolte nell’arco di 6 mesi.

Fabbisogni

Dal punto di vista delle attrezzature e degli strumenti il laboratorio ha bisogno di una sala informatica, con la disponibilità di un video proiettore e di una video-camera.

Destinatari

Giovani maggiorenni e minorenni, immigrati e italiani, suddivisi in due gruppi di lavoro:

  1. Narrazioni e produzioni multimediali
  2. Freestyle Dance e graffitismo

Fase 1: Corso Media NInGiA ( Narrazioni Indipendenti Giornalismo d’Azione)

Modulo 1: La narrazione giornalistica on-line

Metodologia: laboratorio

Obiettivi:

  • trasmettere, attraverso esperienze di apprendimento attivo, la dimensione pubblica della notizia;
  • trasmettere le tecniche fondamentali della scrittura giornalistica;
  • Costruire i racconti del quartiere mediante una rete di “contaminazione” territoriale che attivi azioni di cittadinanza attiva
  • mettere in collegamento le diverse comunità etniche attraverso la promozione della stessa

Timing: 9 ore

Contenuti

Attraverso l’uso delle tradizionali tecniche di scrittura giornalistica, che in qualche modo sono vicine alla dimensione generazionale del linguaggio come atto di sintesi, si vuole far leva sui principi sostanziali del linguaggio giornalistico. Questo percorso è finalizzato ad attivare il racconto, anche attraverso giochi di ruolo, individuando alcuni luoghi simbolici della comunicazione giornalistica. In tal modo è possibile portare dentro l’aula una dimensione sociale problematica, quella delle comunità migranti, che viene raccontata dai media di massa italiani in modo parziale e che per tale ragione determina incomprensione e spesso razzismo. Infine, il lavoro sull’apprendimento delle tecniche di scrittura giornalistica è finalizzato anche ad essere un viatico per iniziare a costruire delle piccole competenze non formalizzate utili per il futuro professionale.

Temi didattici:

  • Il gioco delle 5 W
  • I valori-notizia
  • Il racconto e le strutture narrative
  • Scrivere un articolo non vuol dire solo scrivere
  • Differenza tra fonti tradizionali e fonti on line e rispettive verifiche
  • Scrivere una storia di vita come modello esplicativo della realtà

Modulo 2: Il citizen journalism

Metodologia: laboratorio

Obiettivi:

Formare i giovani selezionati su come si costruiscono le “Free News”, considerandoli format narrativi, che permettono di leggere i fatti del mondo dal basso, poiché solo così è possibile liberare le notizie dalle costrizioni della mistificazione, della commercializzazione, della de-contestualizzazione  e della spirale del silenzio, riconsegnando lo statuto originario di “valore pubblico” all’informazione, propria ad una società in grado di avere una chiara definizione e di coscienza su ciò che succede nel mondo.

Timing: 9 ore

Contenuti

Con la nascita e la massificazione del web, la rivoluzione nell’ambito della comunicazione giornalistica venne completata attraverso una riorganizzazione di senso e significato del concetto stesso di giornalismo, con quello che è stato definito “citizen journalism”.  Questo nuovo concetto è prioritariamente legato alla capacità di offerta di internet, nella circuitazione delle informazioni che, dai blog ai social network, hanno posto in essere il protagonismo del cittadino in quanto tale, dove esso stesso, attraverso la sua partecipazione attiva, diventa produttore di informazioni, che vengono “deistituzionalizzate”  poiché partono dal basso.

Temi didattici:

  • Riorganizzazione di senso e significato del concetto di giornalismo
  • La nuova circuitazione delle informazioni
    La capacità informativa dei blog e dei social network
  • Il cittadino come produttore di informazioni
  • Le notizie de-istituzionalizzate
  • Il ritorno al valore pubblico delle notizie
  • Come i social network esautorano il sistema industriale delle informazioni
  • Il caso dei “Media Ninja” brasiliani

Modulo 2: Produzioni multimediali e post-produzioni

Metodologia: laboratorio

Obiettivi

Trasferire conoscenze sulla manipolazione del suono e le tecniche di post-produzione legata a missaggio e confezionamento di un prodotto, nell’ambito della sperimentazione di percorsi sulla narrazione sonora, può innescare effetti su più livelli di ascolto: evocativo, informativo, di intrattenimento…

Timing: 15 ore

Contenuti

Il Suono è come una mappa utile ma parziale, disegnata da tecniche di rilevazione dei “luoghi” ormai testate nel tempo e definite sotto il termine di “cut & mix”.

Il Racconto usa i moderni stili di contraffazione come il “mash-up” o il più tradizionale re-mix e  preleva anche direttamente dai reportage della rete. Inoltre prefigura l’idea che frammenti di culture diverse e fisicamente lontane finiscano per somigliarsi al punto che gli elementi formino un linguaggio nuovo, fomentino emozioni.

La Rete genera organismi che producono entità in cammino verso nuove identità e il nostro racconto sonoro si imbeve di questa logica. Su come farlo, non c’è stato bisogno di parlarne troppo, i temi narrati hanno indirizzato da soli la rotta.

Temi didattici

  • Cut & Mix
  • Mash-up
  • Acquisizione e montaggio video
  • Codex e formati video
  • Edizione e masterizzazione su supporti ottici (DVD e CD)
  • Diffusione e propagazione materiale audio video attraverso i media e internet
  • Web-broadcasting (internet streaming, web TV)

Fase 2: Laboratori di cultura Hip Hop

Metodologia:Laboratori e stage

Obiettivi: Diffondere la cultura hip hop come cultura dell’autonomia

Timing: 12 incontri da due ore ciascuno

Temi didattici

  • Le arti urbane
  • I graffiti
  • Spray-can art
  • Ritmica
  • Coreografia
  • Educazione corporale del singolo
  • Lavoro di gruppo

Fase 3: Eventi di strada: gli echi della periferia

Timing: 3 giornate evento sul territorio di San Donato

Obiettivi:

  1. Tirocinio sul campo delle formazioni apprese per singoli gruppi
  2. Promozione della cultura mondialista
  3. Promozione delle social street nel quartiere San Donato

Modalità:

  1. Individuazione di tre location e tre date.
  2. Organizzazione degli eventi da parte dei giovani in formazione, supportati da tutor.
  3. Promozione degli eventi attraverso le formule apprese del citizen journalism.
  4. Individuazione di una rete di associazioni mondialiste come azione di promozione territoriale che parteciperanno agli eventi in modo attivo.
  5. Lancio della proposta pubblica di costituzione delle social street nel quartiere San Donato.
  6. Esibizione dei performer anche in forma di batucada, cioè di corteo mobile.
  7. Docu-film sui tre eventi girato e montato dai ragazzi in formazione.

Soggetti coinvolti/da coinvolgere

(altre associazioni, enti, settori comunali, soggetti privati, cittadini, scuole, etc.):

Questo progetto può essere collegato, sia in termini di spazi che in termini di attività sia alla Scuola Saffi del Pilastro che al Centro interculturale Zonarelli.